Mangiamo
Le cose essenziali si possono dire in poche parole. Michael Pollan è un giornalista statunitense che da anni si occupa di cibo e agricoltura. L’inchiesta sull’industria alimentare che pubblichiamo questa settimana è sua. Nel 2007 ha scritto un lungo articolo per il New York Times Magazine che aveva un inizio fulminante: “Mangia cibo. Non troppo. Soprattutto vegetali”. Sei parole, che in inglese erano sette: “Eat food. Not too much. Mostly plants”. Pollan spiegava che questa è la risposta sintetica alla domanda, apparentemente complicata e confusa, su come gli esseri umani dovrebbero mangiare per rimanere in salute. L’articolo poi continuava per diecimila parole, argomentando nel dettaglio l’afermazione iniziale. Perché se è vero che le cose essenziali si possono dire in poche parole, a volte ne servono molte per spiegarle in modo chiaro e convincente. Qualche anno dopo Pollan ha aggiornato l’articolo, sviluppandolo in 64 consigli (Breviario di resistenza alimentare, Bur 2011), tutti basati sull’idea che è possibile “avere un’alimentazione sana senza sapere cos’è un antiossidante”.
E quindi senza dover ricorrere agli esperti che, secondo Pollan, sono come sacerdoti chiamati a mediare la nostra relazione con le entità invisibili e misteriose nascoste in quello che mangiamo. “Non mangiate niente che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo”, “Evitate prodotti alimentari con più di cinque ingredienti”, “Evitate cibi con ingredienti che un bambino di terza elementare non riuscirebbe a pronunciare”, “Evitate cibi pubblicizzati in tv”, e così via. Passando per “Mangiate solo cibo che può andare a male”, oppure “Mangiate cibo i cui ingredienti esistono in natura”, e inendo con “Cucinate” (che negli Stati Uniti deve sembrare rivoluzionario, come l’idea di mangiare cibo vero, cioè non alimenti industriali e preconfezionati), seguito dall’invito a non farne un’ossessione: “Ogni tanto trasgredite alle regole”.
(Giovanni De Mauro, Internazionale n. 1176, ottobre 2016)